"Il Cinquantennio dell’emigrazione Italiana in Germania. Ricordo di un Gastarbeiter “lavoratore ospite”. (3)
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Nella generale condizione italiana restano però problemi di integrazione e di miglioramento della condizione sociale di molti, in maggior parte della prima generazione di emigrati che dopo decenni di permanenza in Germania non parlano bene o quasi del tutto la lingua tedesca. Sono pochi quelli che hanno anche un passaporto tedesco e la cittadinanza di origine è la più conservata fra tutte le presenze straniere in Germania.
La popolazione scolastica italiana è quella che più soffre la selettività della società tedesca. In Baviera sono stati rilevati dei dati che rispecchiano anche la dimensione nazionale: l’8% circa degli scolari italiani frequenta una scuola differenziale, diversamente da quelli provenienti degli altri paesi U. E. che sono il5,2% e dagli stessi tedeschi pari al 3,2%; il ginnasio vede presenti gli italiani con il 4,7%; gli altri scolari U. E. con il 9,1% ed i tedeschi con il 18,5%. La certificazione della formazione professionale è posseduta dal 46% dei giovani italiani rispetto la 64% dei tedeschi. Tale qualificazione è presente nel mondo del lavoro per il 45% e tra i disoccupati nell’85% degli italiani.
La situazione economica generale resta difficile, l’alta disoccupazione degli italiani ed il riformato sistema del welfare tedesco dispiegano un panorama di incertezza ed insicurezza per i nostri connazionali.
Secondo i dati dell’Istituto Federale di Statistica, il dato temporale di permanenza degli italiani ci dice che si superano i dieci anni con la dichiarata intenzione di un soggiorno provvisorio che spesso però si traduce nel mai compiuto rimpatrio.
La ricercatrice A. M. Minutilli conclusivamente, nella sua interessante ricerca, osserva che “gli italiani in Germania si trovano al centro del guado, con vecchi problemi irrisolti, ma anche con nuove sfide ed opportunità da cogliere in un contesto europeo. Il percorso che possono e devono compiere, da Gastarbeiter a cittadini a pieno titolo del paese di accoglienza, può consentir loro di lavorare come soggetti attivi al loro futuro nella società di accoglienza; e , paradossalmente, può offrire al paese di origine, in termini economici, di interscambio culturale e di integrazione europea, più di quanto (poco) essi abbiano ricevuto negli anni passati in assistenzialismi che non hanno sortito alcun effetto rilevante per la loro crescita sociale”.
Questo mentre l’Italia è divenuta essa stessa terra di immigrazione e a me resta nella memoria visiva l’amaro avvertimento nelle insegne al neon poste agli ingressi di alcuni locali pubblici di qualche città della civilissima Bassa Sassonia: “Keine Ausländer”. Vietato l’ingresso agli stranieri. Ma questa è storia passata. O è ancora attuale e riguarda tutte le nazioni occidentali sentinelle del varco di passaggio dei nuovi popoli migranti?
Dott. Antonio Castaldo
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