Ma prima di essere un autore di canzoni, Felice Giannino è un poeta. Egli con versi semplici, ma intensi, coglie uno stato d’animo, fotografa una situazione, fissa su carta un pensiero destinati altrimenti a fluire via, soggetti alla legge inesorabile del tempo. Scopriamo così immagini care che ricordano e mostrano i momenti della sua formazione, del lavoro, dell’impegno politico-sindacale, della vita familiare e di paese, di una esistenza onesta fatta di gioie e di amarezze.
Operaio autodidatta ha riscontrato, dopo aver coltivato in segreto la passione per la poesia, nella gente comune, nel popolo che tanto ama e dal quale è in egual misura ricambiato, una reazione favorevole, come di immedesimazione; un riconoscersi insieme in quelle parole, quei sentimenti, quelle storie, in quel modo di rapportare se stessi alla realtà circostante, in una osmosi continua che individua una comune esperienza di vita. Ciò lo ha spinto a continuare e a darsi senza pudori a quel popolo di cui egli ne canta lo spirito. Esibendosi direttamente in letture pubbliche in occasioni di incontri culturali e di feste popolari si è fatto apprezzare non solo a Brusciano, ma anche sulle competenti piazze di Nola, Barra e Napoli le cui feste dei gigli e le piedi grotte non mancano mai di presentare le sue canzoni vecchie e nuove.
Ma vediamo un po’ più da vicino l’opera di Felice Giannino. Nel leggere le sue poesie, due autori affiorano alla mente, per le assonanze di forma e di contenuto: Raffaele Viviani (Poesie, Napoli 1972) ed Edgar Lee Masters (Antologia di Spoon River, Torino 1971). Il primo, per il linguaggio autentico, immediato, espresso nei modi del vernacolo napoletano che sembra sanare quelle fratture, quel distacco tra arte e vita di pirandelliana memoria. Il secondo, per la vita appunto, che vi scorre, quella della provincia in grado di vivere le forti passioni, i drammi della gelosia, le amicizie indissolubili, il forte senso dell’amore e della famiglia; ma anche capace di grande invidia e di falsità e che nel lento divenire del tempo tira avanti la sua quotidianità gioiendo dei pochi sogni avverati e rammaricandosi dei tanti mai realizzati.
I testi diretti ad essere musicati svolgono invece il tema della nostalgia: per un amore antico il cui ricordo è risvegliato da “Na frunnella e’ rosa dint’a nu libro e’ scola abbandonato”, forse capitato tra le mani mettendo a posto la vecchia libreria di casa; per il paese lontano verso il quale si scopre poi il dovere della servitù patriota. Infine il sentimento per la festa che ha sapore amaro perché effimera e nel mentre si compie rispunta la nostalgia innescata dalla clessidra dell’attesa ‘pecché nce vò nat’anno pè vedé chisti gigli, sti figli ‘e sta Città’’.
Dal presente dell’evento culturale di allora, alla continuità di oggi dell’eredità umana ed artistica di Felice Giannino.
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dott. Antonio Castaldo
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